venerdì 26 novembre 2010

GATTA DI LUNA

Photobucket Sandra guardò Tiffany addormentata su di lei, sorrise e le passò la mano sul folto pelo argento blu. La sua gatta, la sua migliore amica, l'aveva scelta lei, era stata giorni a studiare i sei piccoli fratellini, voleva la più dolce, la più bella. Non si era mai pentita del risultato, era la sua amica del cuore. Spesso dimenticava che era un animale e si ritrovava a parlarle come a un essere umano, Tiffany a modo suo rispondeva. Erano inseparabili, era a Tiffany che raccontava le sue prime pene d'amore, era Tiffany che le leccava le lacrime e le faceva la danza del latte per farla sorridere. Non c'era mattina o sera che non iniziasse e finisse con le coccole di Tiffany, era una certezza, come il sole o la notte. Sandra la amava moltissimo e non riusciva a immaginare la sua vita senza questa splendida gatta di razza certosina. Tiffany usciva poco, stare in casa le piaceva, pisolava aspettando che la sua padroncina arrivasse da scuola, tutta la sua vita girava attorno a Sandra. Ma come nelle fiabe c'è sempre una nube nera, un lupo o un orco. Una mattina Tiffany uscì a fare la sua passeggiata, era maggio, un miscuglio di colori e di odori nuovi, un rinascere dopo un inverno freddo e piovoso. Sicuramente il suo gioco preferito era a portata di zampa, rincorrere le lucertole e questo la portò via. Al suo ritorno Sandra si stupì dell'assenza dell'amica lungo le scale, dove l'aspettava sempre, corse a cercarla in camera sua e per tutta la casa. Anche la mamma era in ansia, ben presto i richiami si rincorrevano per la via, i vicini conoscevano bene Tiffany, era come se fosse la loro mascotte, poi era inconfondibile con quel mantello di velluto blu e il collarino rosa. Niente, svanita nell'aria, Sandra non si dava pace, pianse ore e ore e la notte la passò alla finestra nella speranza di un ritorno. Il mattino ritornò in strada e girò tutte le vie del paese chiedendo e lasciando foto di Tiffany appese a pali della luce. Un dolore forte, così grande da non poter respirare, dov'era la sua amica? Perché non tornava? La paura che le fosse successo qualcosa di brutto era orribile, non riusciva più a dominare il panico. Anche la seconda notte passò, così la terza e la quarta, Sandra non parlava più, le notti erano un incubo, i giorni passavano senza portare nessun cambiamento. Tiffany era sparita, dissolta senza lasciare traccia. Maggio lasciò il posto a un Giugno caldo e afoso, la scuola finì e Sandra si trovò tra le braccia di un'estate vuota e troppo lunga. La sua tristezza non finiva mai, vederla sorridere era raro, solo quando metteva un video sul quale c'era Tiffany sembrava tornare la ragazzina serena che era stata. Come ogni anno agosto la trovò al mare, seduta sulla sabbia a guardare dove l'acqua si fonde con il cielo, inconsolabile in un modo imbarazzante. I suoi genitori erano arrivati alla conclusione che magari un'altra gattina poteva aiutarla e cercarono di farle cambiare idea sul suo no urlato. No, lei aspettava Tiffany, lei voleva Tiffany, sapeva che sarebbe tornata, lo sapeva! Iniziò la scuola e il freddo, le prime nebbie offuscarono ogni cosa, Sandra non usciva più a cercare Tiffany, solo metteva tutte le sere una candela sulla porta di casa. Arrivò Natale e passò senza lasciarle quella serenità che la pubblicità le prometteva, un Natale senza gioia, da dimenticare subito. Gennaio portò la neve, Sandra amava la neve, ma ora no, se pensava a Tiffany imprigionata nel ghiaccio, l'angoscia ritornava. A febbraio la speranza non abitava più nel suo cuore, si era arresa, cercava di non pensare più a Tiffany, a volte ci riusciva a volte no, ma l'importante era iniziare. Ecco aprile, ecco di nuovo una primavera, la bellezza delle sere colme di vita, la voglia di farne parte è fortissima per fortuna. Quella sera la luna era meravigliosa, Sandra sentiva l'emozione del mondo, l'aria era colma di attese e quando una palla di pelo le si gettò addosso, non ne fu sorpresa, iniziò a piangere piano e a ogni lacrima che scivolava sulla guancia per finire nel mantello di Tiffany era un giorno di sofferenza che svaniva. Cercò di portarla in casa ma Tiffany scappò dalle sue braccia e sparì miagolando, Sandra la cercò di nuovo spaventata ma si fermò subito. Il chiarore della luna illuminava Tiffany e sei piccoli dando loro un colore argento blu, il colore magico dei gatti della luna. 


Con questo racconto ho vinto il quinto premio,
un biglietto da usare su tutti gli autobus del territorio bresciano.

mercoledì 10 novembre 2010

FIGLIA DI UN DIO MINORE ...

solitudine Pictures, Images and Photos
Anna non credeva che esistessero figli di un Dio minore ma guardando Maddalena  il dubbio le attraversò il cuore.  Allungò la mano per attirare l'attenzione di sua cugina e le sorrise, Maddalena sgranò gli occhi e iniziò  a gesticolare e a parlare nel modo strano dei sordi.
Ecco, non bastava essere sordi e emarginati?
Non bastava una vita ai margini quasi fosse una colpa quella di non sentire?
Un matrimonio con il compagno anche lui sordo, dove dopo la nascita di un figlio "normale" tutti volevano dire loro cosa dovevano fare e non fare?
Un alternarsi di assistenti sociali e dove anche le insegnanti diventavano di colpo delle psicologhe pronte a trovare mille disagi e comportamenti anormali.
Quante lacrime, quanta paura di non essere una brava mamma, e come poteva?
Era sorda!
Una mamma sorda certamente è una mamma sbagliata, a questo era arrivata Maddalena.
Anche lungo l'andare degli anni le difficoltà non erano mancate, sempre con quella paura dentro, quella di essere una di serie B.
Anna guardò  quel viso così caro a lei, la riconosceva nell'amore che da sempre le univa, quanti ricordi le ritornavano in mente, un'infanzia a metà la loro.
Maddalena che era diventata sorda all'età di sei anni e da allora fino ai 18 anni era stata in collegio in città 9 mesi all'anno.
Solo d'estate ritornava al paese, Anna sorrise al triste ricordo del Mocc, un pastore bergamasco che più di un cane era una balia.
Il Mocc era uno di loro ma lui era di Maddalena!
Quando Maddalena era a casa il Mocc era la sua ombra, con lei andava ovunque e i grandi erano tranquilli, niente di male poteva succedere se stavano insieme.
Mocc che preferì morire 8 giorni prima dell'arrivo di Maddalena, con pudore, quel pudore che hanno i cani nel non voler far soffrire le persone più care.
Mancava poco a Natale e Maddalena tornava a casa in corriera, erano andati in 5 ad aspettarla, tristi e spauriti, la neve cadeva fitta ma a loro non importava, non sapevano come comunicare la triste notizia.
Bastò uno sguardo, l'incrociarsi di occhi e fu pianto dirotto, "morto  Mocc... morto Mocc ... "
Anna ricordava quel tornare a casa tutti abbracciati alla rifusa con lacrime miste alla neve che indifferente cadeva su di loro, era un rifare il funerale a Mocc, era un ricordare l'amico di sempre che ora ti ha tradito, era dolore e rimpianto.
Questo pensava Anna guardando Maddalena in quel letto d'ospedale.
Già, ci mancava anche un tumore al rene, figli di un Dio minore, e perchè no?
L'abbracciò piano, stando attenta ai vari drenaggi, alla pompa della morfina e l'accarezzò, avrebbe voluto che la zia fosse viva, che il Mocc fosse vivo, magari l'avrebbero protetta meglio, non avrebbero permesso a quel Dio di farle altro male.
Parlò con lei, un discorso intimo, fatto di segni, suoni e espressioni facciali, la gente attorno guardava con curiosità ma a questo erano abituate, erano in un cerchio tutto loro.
Erano in un limbo dove poche persone entravano, troppe quelle che se ne scappavano via, la paura e il disagio del rapportarsi con il diverso faceva tabula rasa e la solitudine ingigantiva l'abbandono.
No, non era figlia di un Dio minore, era molto di più e Anna lo sapeva da sempre.


 

martedì 2 novembre 2010

PENSIERI .......

 nostalgia Pictures, Images and PhotosC'è calma oggi, le giornate già sul binario dell'inverno, il riscaldamento acceso e la pioggia che da 3 giorni batte contro i vetri.
Vetri che piangono, lunghe scie di dolore che invadono i davanzali e che piano piano filtrano dentro casa, inutilmente tampono con stracci già umidi del passato, nessun argine è abbastanza alto oggi.
La stanza è in penombra, le fiamme delle candele creano sprazzi di luce sui muri bassi, cerco di decifrarne i disegni e così mi perdo.
Mi perdo su strade già percorse, conosco ogni fermata, la dove mi sono riposata più a lungo per il peso troppo grande che portavo.
Conosco ogni croce incisa su pietra  per chi ho dovuto lasciare ai margini ma che cammina sempre dentro me,  capisco che il tempo è niente l'abbiamo creato noi per avere un alibi.
L'alibi del dimenticarci delle cose scomode e del fuggire a dolori devastanti.
Guardo le foto racchiuse nelle cornici argentate,  le vedo vive, i volti cari alla luce delle candele appaiono dolci, mi ritrovo ancora figlia, sorella, cognata, nuora, nipote e amica.
Colgo questo attimo tutto mio, mi avvolgo su me stessa in un girotondo fatto di ricordi e nostalgia.
Anni e giorni passati a vivere intrecciandoli con dolori e gioie, sembrava ieri e è già domani!
L'incredulità del non riconoscermi nello specchio e nel sentirmi sempre una ventenne dentro, credere di avere ancora mille frecce da scoccare verso orizzonti nuovi e ritrovarmi a fissare chi se ne andato proprio ventenne mi riporta a terra.
Dove sono finiti tutti quei sogni?
Mi è bastato vivere così?
Mi basta quello che sono?
Si, con sincerità posso dire di non avere rimpianti, ho vissuto e vivo il mio tempo, scelte fatte sempre con il cuore e pochi ripensamenti.
Solo a volte quella tristezza che ci fa pensare e agire da umani, sempre una domanda a cercare risposte per poter mettersi sempre in discussione, un vivere sereno misto a problemi che non rende noiosa la mia vita ma unica.